Educazione ai Media e pensiero critico
di Renato Candia
Media e panettoni
L’attualità è uno strumento cruciale per la conoscenza dei bisogni del tempo che si vive. In questi giorni, per esempio, ha suscitato e continua a suscitare clamore il caso del pandoro Pink Christmas che vede coinvolta la più famosa (in termini assoluti) influencer nazionale Chiara Ferragni. Il clamore è stato finora tale che da più voci viene invocato un po’ di liberatorio silenzio sulla vicenda, soprattutto in relazione all’evidenza di ben altri eventi che incombono drammaticamente dentro questa contemporaneità.
Alla questione ha riservato tuttavia un interessante riflessione il giornalista Pietro Saccò in un suo recente editoriale, che a sua volta induce e ripensare, più o meno indirettamente, all’importanza del ruolo e della collocazione nei contesti dell’apprendimento scolastico della Media Education. Saccò spiega come sia necessario non interrompere queste narrazioni perché, al di là di ogni considerazione di merito sulla figura di un’influencer che gode di un seguito di pubblico numericamente elevatissimo (si parla di qualche milione di followers), il grado di credibilità e la capacità di condizionamento del modello di comunicazione social media, pur nella loro attuale invasività sociale, si fondano su una sostanziale fragilità di fondo che soltanto un serio pensiero critico può essere in grado di evidenziare. Il giornalista ricorda che mentre un’azienda tradizionale può uscire da un eventuale danno d’immagine attraverso una riprogettazione di quegli aspetti capaci di caratterizzare e diversificare il proprio prodotto, nel settore dell’influencer marketing l’immagine è il solo e unico asset di valore, incrinato il quale forse soltanto il tempo trascorso in silenzio può diventare l’unica strategia di uscita e possibile recupero della perduta autorevolezza. Saccò indica con una certa chiarezza le ragioni di questa fragilità, che sono, più in generale, i caratteri cruciali di funzionamento dei social media: “i follower non sono incoraggiati ad approfondire” e ancora “l’intrinseca superficialità del mezzo è la grande alleata di chi deve vendere e l’acerrima nemica di chi deve spiegare”(1) .
Dove si raccoglie il sapere digitale
È ormai piuttosto consolidata la convinzione che la scuola debba progettare percorsi di apprendimento capaci di considerare tempi e modi della comunicazione mediale, sia nel rivolgersi ai propri studenti sia nella gestione dei propri quadri organizzativi interni (Learning Organization).
La normativa di riferimento su questi contesti racconta una serie di precise priorità. A partire dalla Legge 150/2000 che definisce i principi della Comunicazione istituzionale della Pubblica Amministrazione, aggiornata con le Linee guida per l’elaborazione dei programmi di comunicazione della PP.AA. (Direttiva Consiglio dei Ministri del 2018). E ancora il comma 58, art. 1 della Legge 107/2015 che dà concreto avvio al Piano nazionale Scuola Digitale (PNSD), a sua volta rigenerato e aggiornato nel documento Una strategia per l’innovazione digitale a scuola del 16 maggio 2023, propedeutico alla realizzazione del PNSD, fino allo specifico del PNRR, missione 4, componente 1, sulle linee di investimento 2.1 e 3.1.
Se, nell’ottica di un percorso di progettualità generale, si considera il PNRR come il frutto maturo di cui la restante normativa sopra citata rappresenta uno dei tanti alberi generativi, l’investimento 2.1 si rivolge alla formazione sulla transizione digitale del personale scolastico verso l’adozione di curricoli sulle competenze digitali (con riguardo alle potenzialità della scuola come Learning Organization), mentre l’investimento 3.1 è rivolto alle nuove competenze e ai nuovi linguaggi, con interessamento invece dei percorsi formativi STEM (e STEAM). I luoghi di collocazione della Media Education oggi, stanno all’interno di questi contesti formativi con una precisazione importante che forse non sempre è stata adeguatamente considerata per gli effetti a) di un approccio limitato al principio stesso di linguaggio digitale e b) alla misura con cui esso coincide, comprende e/o venga compreso nella Media Education. L’educazione linguistica digitale, infatti, si divide tra una competenza di natura squisitamente tecnologica che riguarda le abilità di gestione dello strumento tecnico, e una competenza di natura necessariamente più umanistica, che a che fare invece con i modi, il senso e gli scopi di utilizzo del linguaggio digitale. Quest’ultima mostra tra l’altro le nuove urgenze legate all’uso di Chatbot funzionali all’Intelligenza Artificiale (come per esempio la ChatGPT sviluppata da Open AI), tanto importanti da preoccupare anche i governi nazionali che si attivano nella promozione di occasioni di dibattiti istituzionali verso prese di posizione ufficiali. Accanto ai Chatbot va ovviamente considerata l’abitudine ai social media, che esprimono l’essenza stessa della comunicazione tendenzialmente priva di relazione, della contrazione sempre più estrema dei tempi di attenzione e della conoscenza demandata alle memorie esterne del web e/o di cloud dedicati, che impoveriscono e demotivano le ragioni dell’apprendimento. Questi aspetti sono efficacemente raccontati da Franco Lorenzoni, quando viene a porsi la questione dello smartphone in tasca ad ogni ragazzo: “Perché faticare a memorizzare parole, concetti, contenuti e informazioni se ce li ho in tasca? Il problema è, per l’appunto, che li ho in tasca e non in testa” (2).
Media, PTOF e Curricolo d’istituto
Un approccio disciplinare alla Media Education non può esimersi dalla consapevolezza della sua dimensione di trasversalità. Come avviene nello studio delle discipline linguistico-espressive, si tratta di partire dallo specifico delle grammatiche per arrivare alle potenzialità semantiche del linguaggio espresso, o per dirla come il poeta Mallarmé a proposito dell’Hérodiade, una delle sue opere più complesse: “Dipingere non la cosa, ma l’effetto che essa produce”.
Il progetto di apprendimento/formazione sull’educazione ai Media nella scuola chiede dunque di definire preliminarmente le abilità necessarie alla corretta gestione di espressioni di informazione in entrata e in uscita, collocate attivamente dentro un processo di comunicazione tra soggetti. Tali abilità vanno considerate non soltanto nel contesto del curricolo d’Istituto ma anche, e soprattutto, nel contesto del PTOF. L’attenzione alla cultura mediale, infatti, andrà manifestata anche come atteggiamento verso una naturale disposizione all’accoglienza e alla relazione, in grado di caratterizzare l’istituzione scolastica stessa. Per esempio condividendo con l’utenza strumenti e modi del proprio piano di comunicazione interno ed esterno, espressamente formalizzato: alla base di questo processo si mostra necessario utilizzare linguaggi e tecnologie comuni, considerando opportunamente quali di questi siano di agile accesso quotidiano all’utenza stessa.
Per un curricolo di Media Education
Tecnologie e linguaggi, inoltre, hanno stretta attinenza con i contesti temporali del loro utilizzo. Se in anni non lontanissimi la rapidissima diffusione del personal computer aveva creato, per un certo periodo uno iato generazionale che vedeva studenti giovani e giovanissimi maneggiare questi strumenti con una disinvoltura spesso sconosciuta ai loro stessi insegnanti, l’evoluzione altrettanto rapida della cultura digitale ha modificato i modi della comunicazione sociale implicando il radicarsi di nuove competenze e di nuovi modi di relazione interpersonale.
Il dibattito teorico attuale attorno ai Media vede il consolidarsi di almeno quattro differenti fasi storiche (3) che hanno portato all’attuale stato dell’arte:
- Fase meccanica, dalla metà dell’Ottocento ai primi anni del ‘900, che comprende i Media considerati più tradizionali, come giornali, fotografia, cinema, ecc …
- Fase elettrica, tra le due guerre mondiali, con l’invenzione dei sistemi di trasmissione radiofonica e televisiva.
- Fase digitale-elettronica, fino ai primi anni di questo secolo, con la diffusione delle tecnologie digitali e del web.
- Fase algoritmica, dagli anni ’10 del Duemila ai giorni nostri, caratterizzata dai social media, dai sistemi touch, dagli archivi biometrici, dalle piattaforme disponibili per qualunque possibile funzione sociale, dai Big Data e da ogni tipologia immaginabile di protesi di memoria.
Per ciascuna di queste fasi la ricerca sociologica ha saputo individuare e descrivere comportamenti, atteggiamenti e abitudini che si sono storicamente consolidati in modelli di relazioni sociali routinarie, indissolubilmente legate ad una confidenza quotidiana con i media di ciascuna epoca e con la loro diffusione più o meno capillare nelle comunità.
Questi processi hanno dato vita, a loro volta, ad approcci teorici verso direzioni diverse del mondo digitale. Le teorie classiche, per esempio, andavano spesso alla ricerca delle condizioni di criticità e/o di sottomissioni consapevoli dell’utente all’universo dei contenuti mass-mediali considerati come forme di pensiero esclusivamente persuasivo e dominante. Queste posizioni sono state superate attraverso campi di ricerca più settoriali e specifici rivolti alla comprensione della comunicazione mediale come fenomeno più complesso di come potesse apparire. Per fare qualche esempio tra i più conosciuti, l’invito a considerare con consapevole senso critico l’artificiosità strumentale dei sistemi di comunicazione, come ricordava il celebre studio di Marshall McLuhan e Quentin Fiore intitolato “Il medium è il messaggio” (1968). O ancora il radicale cambio di prospettiva suggerito dalla corrente sviluppata attorno alla figura di Stuart Hall nella Scuola di Birmigham, i cosiddetti Cultural Studies, che spostano la questione sulla posizione del pubblico-ricevente (Audience) evidenziandone il diritto (e la pratica) di essere oppositivo al messaggio ricevuto, rifiutandolo, criticandolo, contestandolo o ignorandolo.
Che fare?
Le domande da porsi, ora, hanno a che fare con la cultura mediale, con le competenze digitali professionali della scuola rivolte a se stessa e alla sua organizzazione interna e con i percorsi di trasversalità (possibili e progettabili) del Curricolo d’istituto di ciascuna Istituzione scolastica. Questa importante riflessione può essere in grado di ri-determinare l’ordine e le priorità dei saperi considerati nei progetti di apprendimento, a partire dai caratteri fondanti della visione che il disegno organizzativo della stessa scuola ha definito. E che condivide nella convinzione che il buon progetto di apprendimento non rimane chiuso dentro il muretto della scuola, ma percorre le medesime strade che da essa si diramano e che ad essa portano quotidianamente.
1) Pietro Saccò, La trappola dei “Like”, in Avvenire del 11 gennaio 2024.
2) Franco Lorenzoni, I bambini ci guardano, Palermo, Sellerio, 2019, p. 83.
3) Cfr.: Ruggero Eugeni (a c. di), Il primo libro di teoria dei media, Torino, Einaudi, 2023