di Domenico Ciccone
Voti e manganelli fanno i giovani belli!
di Domenico Ciccone
Affermare che l’Italia è un Paese nel quale si contano ben sessanta milioni di allenatori della Nazionale di calcio ed altrettanti ministri dell’Istruzione è ormai un luogo comune che, purtroppo, viene corroborato continuamente da quello che ciascuno di noi percepisce, vive e sente. Non faccio parte dei sedicenti commissari tecnici della Nazionale di calcio ma mi intendo un po’ di scuola e la deriva alla quale sto assistendo, in questi ultimi tempi, è qualcosa di mai visto prima.
La cultura psico-pedagogica, al pari di altri ambiti scientifici, ha compiuto passi da gigante negli ultimi decenni. L’elettronica mostra più diffusamente i suoi progressi, l’Informatica pervade ogni nostro gesto quotidiano, tanto che esiste l’Internet delle cose. Nessuno, tuttavia, se ne lamenta o suggerisce soluzioni che pertengono ai professionisti. La vecchia cornetta del telefono non se la fila nessuno, contrapponendola al cellulare, nemmeno se ci ha passato ore bellissime a parlare con la “morosa” o con il boy friend.
Il personal computer e le connessioni ai cloud soddisfano anche i più ortodossi amanti della “Lettera 22” , storica macchina da scrivere, ormai relegata ad essere esposta nei musei, come o peggio di un calamaio con pennino d’epoca. E nessuno, intanto si cura con salassi e cataplasmi nonostante i racconti sulla loro efficacia.
La Pedagogia, invece, vede mortificato il suo costante lavoro di ricerca, di pubblicazioni, di studi e di traguardi scientifici, di conquiste sociali e di cambiamenti epocali, a favore di un manipolo, sempre più numeroso, di persone che sono convinte di poter risolvere le annose questioni, che le scienze dell’educazione affrontano da anni, mediante un convinto ritorno al passato, quello dei bei tempi andati dell’educazione.
E, come volevasi dimostrare, nel mentre – in una terra dove i treni viaggiano alla velocità delle ferrovie africane o asiatiche del quarto mondo- si dovrebbe costruire il più lungo ponte a campata unica nel regno di Scilla e Cariddi come segno di modernità e di progresso, la scuola, per mano della stessa parte politica deve fare tre passi indietro sulla valutazione degli apprendimenti e del comportamento.
Ignorando chi si occupa professionalmente di questioni educative, che indica la direzione opposta, e senza che nessuno degli esperti di scuola lo abbia chiesto, si vogliono restaurare modelli di valutazione che mortificano gli alunni e gli studenti, tentando di incasellare definitivamente la loro personalità in un numero o, al massimo, in un aggettivo.
Non mi dilungherò molto sulla questione ma si capisce benissimo il motivo di cotanto tracotante delirio: attirare le masse verso un consenso carpito con promesse esaltanti e nel contempo riportare il modello sociale a concetti semplici, semplicistici perfino, al punto tale da annullare secoli di ricerca e di riflessione sui temi dell’educazione, pur di far prevalere un modello minimalista, apparentemente bonario, innocuo ma, nella sostanza, pericolosissimo. Per chi sostiene questo modello, un voto, sette, ad esempio, corrisponde a “buono” come aggettivo e non ha bisogno di altro per spiegare al mondo, ma soprattutto all’interessato, chi è Pierino, cosa passa nella mente di Fiorella o quale difficoltà attanaglia Dafne. “Qui non abbiamo tempo da perdere!” dicono convintamente gli efficientisti della pedagogia fai da te, quella con sessanta milioni di colleghi di Bruner, tutti espertissimi di scuola e di educazione.
Coloro i quali sono convinti che un voto o un giudizio sintetico siano capaci di descrivere la complessità di una persona hanno evidentemente problemi di disconnessione con la realtà.
Forse ignorano totalmente che gli “studenti che studiano” non sono nati per studiare, hanno avuto solo condizioni migliori per dedicarsi con profitto alle attività scolastiche. Gli altri, quelli che portano con sé il peso del fallimento, non possono essere etichettati con un epiteto e liquidati con un “ si arrangiassero” facendogli notare da subito, come se fosse una loro colpa, le loro limitanti carenze e l’inadeguatezza del loro intelletto.
Nel mondo della “policrisi”, mentre le scuole dovrebbero insegnare a ragionare dei problemi dell’umanità e delle cause che li hanno determinati, in maniera da poterli affrontare e risolvere o, almeno, non ripeterli, si risolve così ogni questione: il voto agli studenti, un aggettivo per i più piccoli in maniera da non classificarli al primo colpo ma, di sicuro, al secondo.
E per i pacifici ma facinorosi studenti di Pisa? Le manganellate, come ovvia conseguenza di un “ragionamento “!
Studenti adolescenti che, in barba alla scuola che utilizza il voto come un’arma, hanno compreso ciò che a noialtri sfugge, sulle armi vere, quelle che ammazzano le persone e i loro sogni. A Gaza a pochi passi dal cosiddetto “mondo avanzato” rappresentato da Israele senza alcun dubbio, si uccidono bambini, donne, uomini e anziani inermi, si chiude loro la porta in faccia se vogliono scappare, si bombardano i loro miseri ospedali e si distruggono i camion pieni di medicinali e di alimenti.
E ancora più vicino, si muore in Ucraina dove si stanno fronteggiando le potenze del mondo intero, facendosi la guerra in casa di altri, a spese di giovani che fino ad ieri erano fratelli e oggi devono eliminarsi tra loro senza capirne il perché.
Qualcuno tra i nostri giovani ha gridato pacificamente che non ci sta, che non tollera questa carneficina; e meno male che lo ha fatto! I giovani hanno semplicemente realizzato quello che forse avrebbe dovuto promuovere il ministero, proiettando per una volta una visione della scuola che tarda a manifestarsi.
Forse a Roma si teme che a “perdere tempo” a parlare di guerre e di ingiustizie, i giovani non studieranno bene l’attentato di Sarajevo o la poetica del Fanciullino? Magari salterà la lezione sul pessimismo cosmico, con l’allucinante quanto inopportuno parallelismo tra Leopardi e Schopenhauer. E allora?
Si ordini una bella manganellata esemplare per questi pacifici studenti!
Il massimo responsabile dell’ordine pubblico in Italia è figlio di un direttore didattico, categoria onorata di servitori dello Stato della quale ho fatto parte, per un pelo, anche io.
Mi sarei aspettato che avesse sentito, non solo per questa sua appartenenza, il dovere di chiedere scusa agli studenti malmenati da una “squadra” di celerini; che avesse raggiunto subito i giovani sul posto per incontrarli, per rassicurarli, quegli studenti che sono il nostro futuro e che si sforzano di immaginarlo, questo loro futuro, senza guerre e senza ingiustizie. Diciamo pure che, visti gli esempi che osservano, non fa meraviglia il fatto che non vedono l’ora di continuare senza di noi!
Altrove un ministro si sarebbe dimesso, già da qualche ora, portando via con sé tutti i responsabili di un gesto scellerato che ormai i social hanno diffuso in ogni posto del mondo, facendo rabbrividire chi ha guardato quelle immagini.
Ma i voti, i manganelli e le fantomatiche filiere, che nessuno vuole, sono forse tanti modi diversi per comunicare ai cittadini che (non) devono preoccuparsi del futuro del nostro Paese? Vogliono rassicurare che ci sia qualcuno che pensa a tutto e che nessuno deve stare in ansia per le proteste, le occupazioni e la scuola che non rispetta le regole?
Il modello delle punizioni esemplari non funziona e non ha mai funzionato. Qualora, in qualche stanza dei bottoni si pensasse che mostrare le maniere forti impaurisca i giovani e li metta a tacere, si starebbe sbagliando di grosso.
Al linguaggio della democrazia che contempla necessariamente e strutturalmente il disaccordo e la protesta, si risponde con il linguaggio della democrazia, composto, tollerante, aperto e dialogante.
Quando sono i giovani a muoversi e quando lo fanno in maniera civile e democratica occorre ascoltare attentamente le loro motivazioni. Alzare la voce e usare i manganelli, utilizzando i metodi coercitivi di un tempo, non produce risultati ma rigetto. Non ci fanno più caso, ai sermoni, alle imprecazioni, alle manganellate, e tirano dritti per la loro strada. Si sono abituati ad una generazione come la nostra, cari ministri dell’istruzione e dell’Interno, che dopo aver combinato solo pasticci se la prende con loro che sono arrivati dopo e anche male accolti. Volete che non si abituino alle manganellate, ai voti come armi di ricatto educativo ed alle classificazioni scolastiche degne dell’esercito napoleonico?
Si abitueranno ma solo tollerandoci, con pazienza, tanto passeremo, ed il loro rispetto non lo avremo meritato nemmeno a colpi di manganello.